Liberamente tradotto dal libro “La ciudad jubilada” progetto di Pau Faus
I pensionati sono in grado di fare miracoli: trasformare una periferia urbana in orti, ricavarne alimento per il corpo, dare nuovo senso alla vita non più produttiva e affrontare in maniera intelligente un degrado naturale. Se aguzziamo un po la vista, sporgendoci dai finestrini della macchina o del treno, lungo l’autostrada che porta a Barcellona possiamo intravedere una realtà non sempre chiara e sistematica, anzi disordinata e capricciosa, ma quanto mai attenta e minuziosa nei suoi particolari. Certe volte appaiono chiaramente, attraverso i colori che contraddistinguono le infrastrutture con le quali si confezionano recinti, contorni e si proteggono confini, altre volte si nascondono tra la vegetazione circostante o sotto i ponti e, se si è fortunati, si possono vedere dei roseti ben coltivati, una fila di piantine di pomodori in coltura o, per un istante , un uomo solo piegato in avanti con una vanga.
Si tratta di un pensionato che coltiva il suo orto in periferia. “All’orto veniamo a lavorare tutta la settimana….e la domenica?…anche…che importa se è festa…noi qui la festa ce l’abbiamo tutti i giorni” ( Augustin, Pensionato e Ortolano )
Se abbiamo poi la curiosità o la pazienza di scendere dalla macchina possiamo osservare una realtà che piano piano si presenta in tutti i suoi colori e caratteri. Via via che il cammino si fa strada in mezzo a rottami, rifiuti, rivoli e passaggi tra dislivelli naturali trasformati in ponti speciali. Siamo davanti ad un mondo parallelo all’autostrada dove si incontrano diverse realtà che in quei posti convivono e si accordano: disordine, rifiuti, periferia, messi insieme con cura, riutilizzo, senso di appartenenza. Il territorio, a tratti selvaggio, si incontra con parti addomesticate, territorio vergine e a tratti violato, desolato e pieno di speranza. Sono gli orti informali della periferia di Barcellona coltivati spontaneamente, sulle sponde dei fiumi e canali, dai vicini e da persone non tanto vicine: tutti pensionati. Uomini che decisero, tempo fa, che questi terreni fertili non potevano rimanere abbandonati a sé stessi. Alcuni già vivevano in quei posti prima di prendere questa decisione, altri arrivarono dopo e altri cercano ancora un angolo vuoto dove stabilirsi per coltivare il loro orto di periferia. Sorprendono alcuni particolari di questo fenomeno urbano, o meglio, peri-urbano. In un territorio dove il residuale è autoctono riesce a svilupparsi una fertilità che sorprende da diversi punti di vista: il residuale urbanistico ( periferia degradata) e il residuale della società attiva (il pensionato non più produttivo) sono capaci di trasformare la realtà improduttiva in realtà produttiva utilizzando gli scarti naturali (rifiuti e materiali di discarica) e le forze residue di una età ancora valida.
Da un lato abbiamo i residui che genera il sistema di panificazione del territorio sotto forma di frange di vuoto parallele alle infrastrutture, dall’altra i residui materiali, i rifiuti che il sistema di produzione rilascia in quei luoghi. Infine abbiamo i cittadini pensionati, persone ritenute improduttive espulse dal sistema lavorativo. Il paradosso si presenta nel momento in cui il destino mette questi tre elementi residuali davanti a una terra fertile.
Così l’orto è servito: gli spazi vuoti saranno il terreno utile, gli scarti di discarica il materiale di costruzione e i pensionati saranno i lavoratori. Le tre periferie senza ombra di qualunquismo, frutto di questa modernità urbanistica, produttiva e sociale si organizzano per rendere fecondo ciò che fecondo non era (almeno nell’immaginario consueto). Al di là del sentimentalismo superficiale si tratta di riflettere sul fatto che in nome del progresso le grandi città attraversano questi fenomeni di urbanesimo e di de-ruralità sia dei paesaggi che delle persone. Molti pensionati che coltivano gli orti provengono da fenomeni migratori degli anni ’60 e ’70, gente di campagna abituata a coltivare la terra che si é spostata nelle città, ma che poco si è adattata alla vita artificiale industrializzata dell’urbe e che, alla prima occasione (pensionamento), ha ritrovato la sua dimensione umana in relazione con la natura. Sono persone che mal hanno accettato, con il pensionamento, di rimanere improduttivi e hanno rispolverato la loro antica capacità di adattarsi a tutte le condizioni.
Non sorprenda il fatto che questi lavoratori di ieri e pensionati di oggi riprendano a coltivare una terra che non appartiene loro ma che è rimasta abbandonata. In lingua spagnola andare in pensione si dice jubilarse : “lasciare qualcosa di inutile”, “rallegrarsi gioire”. Una persona allegra e creativa che celebra se stessa, in una città che riconquista se stessa dalla sua periferia.